venerdì 7 settembre 2012

INIZIA LA SCUOLA

LA SCUOLA STA PER INCOMINCIARE.RIPETETE FINO ALL'ULTIMO SECONDO DISPONIBILE.COMPRATE ASTUCCI,CARTELLE,PASTELLI...
AUGURO A TUTTI I MIEI COMPAGNI UN BELLISSIMO ANNO SCOLASTICO,MA SOPRATTUTTO AUGURO LLE MAESTRE UN'ALTRO ANNO DI PAZIENZA RIVOLTA A TANTISSIMI BIRBONCELLI.
SPERO CHE LE MIE MAESTRE E I MIEI COMPAGNI MI CONTINUINO A SEGUIRE SUL MIO BLOG.
                                         
                              DALLA  VOSTRA  BLOGGER SEA.AZZURRO

martedì 26 giugno 2012

gli gnomi

gli gnomi e il calzolaio

Un calzolaio, non per colpa sua, era diventato talmente povero che gli rimaneva solo il cuoio per fare un paio di scarpe. La sera tagliò la tomaia per metterla in lavorazione il giorno dopo e, con la coscienza pulita andò tranquillamente a letto, si raccomandò a Dio e si addormentò.
La mattina, dopo aver detto le sue preghiere, voleva mettersi al lavoro, ma le scarpe erano sul deschetto belle e pronte. Si meravigliò e non sapeva cosa dire. Prese le scarpe in mano per osservarle meglio ed erano fatte così bene che nemmeno un punto era sbagliato, proprio un capolavoro come doveva essere. Subito dopo entrò un cliente e le scarpe gli piacquero talmente che le pagò più del solito. Con quella somma il calzolaio poté acquistare il cuoio per due paia di scarpe. La sera le tagliò per mettersi al lavoro la mattina di buona voglia, ma non ce ne fu bisogno: quando si alzò le scarpe erano già finite e non mancarono i compratori che gli diedero tanto denaro da acquistare il cuoio per ben quattro paia di scarpe. Di buon mattino trovò pronte anche queste altre quattro paia e così andò via. Quello che tagliava la sera era pronto al mattino così che ben presto egli poté di nuovo vivere più che bene e finì per diventare un uomo benestante.
Ora accadde che una sera, era vicino il Natale, l’uomo preparò le scarpe tagliate e, prima di andare a letto, disse alla moglie: “Cosa diresti se questa notte stessimo svegli per vedere chi ci aiuta con mano così generosa?”La donna acconsentì, accese una candela e si nascosero dietro gli abiti che erano appesi nella stanza e cominciarono a fare la guardia. A mezzanotte arrivarono due omini nudi, si misero al deschetto, presero tutto il cuoio preparato, cominciarono coi loro ditini a forare, cucire e battere talmente in fretta che il calzolaio non poteva distogliere lo sguardo dalla meraviglia. E non si smisero finché non furono alla fine, con le scarpe belle e pronte sul deschetto, poi svelti se ne andarono. La mattina dopo la donna disse: “Quegli ometti ci hanno fatto diventare ricchi e noi dovremo essere loro riconoscenti. Vanno in giro con niente addosso e devono aver freddo. Sai cosa? Cucirò per loro una camicina, una giacca, un panciotto e un paio di calzoncini e tu aggiungi un paio di scarpine”. L’uomo rispose:“D’accordo”. La sera quando ebbero tutto finito, misero sul deschetto i regali al posto del cuoio e si nascosero per vedere che faccia avrebbero fatto gli gnomi.
A mezzanotte arrivarono saltellando e volevano mettersi al lavoro ma, invece del cuoio, trovarono i bei vestitini. Prima si stupirono, poi mostrarono una gran gioia. A tutta velocità li indossarono, se li sistemarono e cantarono:
Non siamo forse giovanotti belli e gai? Basta fare i calzolai!
Poi saltarono e ballarono e fecero capriole sulle sedie e sulle panche. Infine, ballando, giunsero alla porta. Da allora in poi non tornarono più, ma il calzolaio se la passò bene ed ebbe fortuna in tutto ciò che faceva.

i tre capretti furbetti

C’erano una volta tre capretti furbetti che dovevano andare al pascolo: essi si chiamavano capretti Furbetti. Sulla loro strada vi era un ponte che dovevano per forza attraversare e sotto ci viveva un brutto gigante con occhi grandi come piatti ed un naso lungo lungo.
Per primo si presentò il più giovane dei capretti Furbetti e trotterellando attraversò il ponte.
- chi attraversa il mio ponte? – ruggì il gigante.
- oh, sono solo io, il più piccolo dei capretti Furbetti e devo andare al pascolo per diventare grasso – rispose il caprettino con una vocina sottile, sottile.
- ora vengo e ti mangio in un boccone- disse il gigante.
- ma no, non mangiarmi: sono troppo piccolo!- rispose il capretto- aspetta che passi il secondo dei capretti Furbetti che e’ molto più grasso di me!-
- va bene, vattene – disse il gigante.
Dopo un po’ ecco il secondo dei capretti Furbetti che attraversò trotterellando il ponte.
- chi attraversa il mio ponte?- ruggì il gigante
- oh, sono solo io, il secondo dei capretti Furbetti e devo andare al pascolo per diventare grasso- rispose il capretto con una nocetta un po’ più robusta.
- ora vengo su e ti mangio in due bocconi! – disse il gigante
- ma no, non prendere me, aspetta che venga mio fratello maggiore che e’ molto più grasso di me-
- benissimo, vattene pure- replicò il gigante.
Ma ecco che giunse il maggiore dei capretti Furbetti e trotterellando attraversò il ponte. Era così grasso che il ponte ondeggiava a scricchiolava sotto il suo peso.
- chi attraversa il mio ponte? – ruggì il gigante
- sono io, il più grosso dei capretti Furbetti – disse il capretto con una voce robusta.
- ora vengo e ti mangio in tre bocconi!- ruggì il gigante
- Ho sulla fronte due corna forti
Ti caverò quegli occhi storti!
Vieni mio caro, con i miei zoccoli
Ti ridurrò tutto bernoccoli! –
Così dicendo il capretto si scagliò contro il gigante a testa bassa e lo gettò nel fiume, poi tranquillo si diresse al pascolo. Qui i tre capretti diventarono così grassi che non poterono più tornare a casa e sono là ancora.i tre cap

i tre porcellini


C'erano una volta tre porcellini che vivevano con i genitori.
I tre porcellini crebbero così in fretta che la loro madre un giorno li chiamò e disse loro: "Siete troppo grandi per rimanere ancora qui. Andate a costruirvi la vostra casa".
Prima di andarsene da casa li avvisò di non fare entrare il lupo in casa: "Vi prenderebbe per mangiarvi!"
E così i tre porcellini se ne andarono.
Presto la strada si divise in tre parti.
Il Porcellino Grande spiegò che ognuno di loro avrebbe dovuto scegliere una direzione. Li avvisò del lupo e poi andò a sinistra. Il Porcellino Medio andò a destra e quello piccolo nella via centrale.
Sulla sua strada il Porcellino Piccolo incontrò un uomo che portava della paglia.
"Per piacere, dammi un po' di paglia!" disse "Voglio costruirmi una casa".
In poco tempo costruì la sua casa e pensò di essere salvo dal lupo.
La casa non era molto bella e nemmeno fatta bene ma a lui piaceva molto.
Gli altri due porcellini se ne andarono assieme e presto incontrarono un uomo che portava della legna.
"Costruirò la mia casa con il legno" disse il Porcellino Medio "Il legno è più resistente della paglia".
Il Porcellino Medio lavorò duramente tutto il giorno per costruire la sua casa.
"Adesso il lupo non mi prenderà e non mi mangerà" disse. Il Porcellino Grande camminò per conto suo.
Presto incontrò un uomo che trasportava mattoni.
"Per piacere, dammi un po' di mattoni" disse il Porcellino Grande "Voglio costruirmi una casa."
Così l'uomo gli diede dei mattoni per costruire una bella casa.
"Ora il lupo non potrà prendermi per mangiarmi" pensò.
Il giorno dopo il lupo arrivò alla casetta di paglia: " Porcellino, porcellino, fammi entrare" gridò il lupo.
Ma il Porcellino Piccolo sapeva che era il lupo e non lo lasciò entrare.
Ma il lupo cominciò a sbuffare stizzito. E sbuffava e sbuffava e buttò giù la casetta del Porcellino Piccolo.
Poi se lo mangiò in un baleno.Three Pigs by L. Leslie Brooke
Il giorno seguente il lupo andò a casa del Porcellino Medio e bussò alla sua porta. "Chi è?" chiese.
"Tuo fratello" rispose il lupo.
Ma il Porcellino Medio sapeva che non si trattava del fratello e non aprì al lupo.
Così questi sbuffò stizzito e buttò giù la casa del Porcellino Medio.
La casa di legno cadde e il lupo se lo mangiò.
Il giorno dopo il lupo arrivò alla casa di mattoni e gridò: "Porcellino, Porcellino, fammi entrare!"
Ma il Porcellino Grande rispose: "No, non ti farò entrare!" quando improvvisamente sentì bussare nuovamente alla porta.
"Apri la porta e vedrai chi sono!" disse il lupo con una vocetta. Quindi il lupo cominciò a sbuffare e sbuffare ma non riuscì a buttare giù la casa.
Il lupo era furibondo! Gridava: "Porcellino, Porcellino, scenderò per il camino e ti mangerò!"
Il Porcellino era spaventato ma non rispose.
Dentro casa c'era una grossa pentola sopra il fuoco del camino. L'acqua stava per bollire.
Il lupo si calò dal camino.
Siccome non c'era il coperchio sulla pentola il lupo vi ruzzolò dentro e finì nell'acqua bollente.
E questa è la fine del lupo cattivo e la storia di tre piccoli porcellini.

LA GOBBA DEL CAMMELLO



La gobba del cammello

All'inizio del mondo, quando tutto era ancora nuovo, e gli Animali avevano appena incominciato a lavorare per l'Uomo, viveva, in mezzo al Deserto Ululante, un Cammello, che era proprio un gran fannullone, tanto che mangiava rametti e pruni, tamarischi e altre erbe, che poteva trovare nel deserto senza scomodarsi troppo; e quando Qualcuno gli rivolgeva la parola, rispondeva: - Bah! - solo: - Bah! - e nient'altro.
Perciò, un lunedì mattina, il Cavallo andò da lui, con la sella sulla schiena e il morso in bocca, e disse:
- Cammello, ehi, Cammello, vieni fuori a trottare come tutti noi.
- Bah! - fece il Cammello; e il Cavallo se ne andò e lo riferì all'Uomo.
Poi andò da lui il Cane, con un pezzo di legno in bocca; e disse: - Cammello, ehi, Cammello, vieni a stanare la selvaggina come tutti noi.
- Bah! - fece il Cammello; e il Cane se ne andò e lo riferì all'Uomo.
Poi andò da lui il Bue, con il giogo sul collo, e disse: - Cammello, ehi, Cammello, vieni ad arare come tutti noi.
- Bah! - fece il Cammello, e il Bue se ne andò e lo riferì all'Uomo.
Sul finire del giorno l'Uomo chiamò a raccolta il Cavallo, il Cane e il Bue e tenne loro questo discorsetto:
- O miei Tre, sono molto spiacente per voi (con il mondo ancora tutto nuovo); quel Fannullone nel deserto non vuol proprio lavorare, mentre ormai dovrebbe già essere qui come voi; per cui sono costretto lasciarlo solo, e voi dovrete lavorare il doppio per supplirlo.
Ciò irritò molto i Tre (con il mondo ancora tutto nuovo); ed essi si riunirono al confine del Deserto a congiurare; e venne anche il Cammello, più indolente che mai, ruminando erba, e rise loro in faccia. Poi fece: - Bah! - e se ne andò.
Allora arrivò il Genio che ha in custodia Tutti i Deserti, avvolto in una nube di polvere (i Geni viaggiano sempre in questo modo, perché è Magia), e si fermò a parlare coi Tre.
- Genio di Tutti i Deserti, - disse il Cavallo, - è giusto che qualcuno se ne stia in ozio con il mondo tutto nuovo?
- No di certo, - rispose il Genio.
- Ebbene, - soggiunse il Cavallo, - c'è un animale in mezzo al tuo Deserto Ululante, con lungo collo e lunghe gambe che non ha fatto ancora niente da lunedì mattina. Non vuole trottare.
- Ohibò! - esclamò il Genio; - per tutto l'oro dell'Arabia, ma questo è il mio Cammello! e che scusa trova?
- Dice: "Bah!" - disse il Cane; - e non vuole andare a stanare la selvaggina.
- Dice qualcos'altro?
- Solo: "Bah!" e non vuole arare, - disse il Bue.
- Benissimo, - fece il Genio; - se avete la pazienza di aspettare un minuto lo farò sgobbare io.
Il Genio si avvolse nel suo mantello di polvere, andò nel deserto, e trovò il Cammello più indolente che mai, che rimirava la sua immagine riflessa in una pozza d'acqua.
- Mio lungo e indolente amico, - disse il Genio, - ho sentito sul tuo conto cose che ti fanno poco onore. È vero che non vuoi lavorare?
- Bah! - rispose il Cammello.
Il Genio si sedette, col mento fra le mani, e si accinse ad escogitare qualche grande incantesimo, mentre il Cammello continuava a rimirare la sua immagine riflessa nell'acqua.
- Tu hai costretto i Tre a lavorare il doppio da lunedì mattina, e tutto per colpa della tua insopportabile pigrizia - disse il Genio, e continuò a pensare incantesimi col mento fra le mani.
- Bah! - fece il Cammello.
- Non lo ripeterei più se fossi in te, - disse il Genio; - potresti dirlo una volta di troppo. Fannullone, voglio che tu lavori.
E il Cammello ripeté ancora: - Bah! - ma non aveva ancora finito di dirlo, che vide il suo dorso, del quale era così orgoglioso, gonfiarsi e gonfiarsi finché si formò su di esso una grande, immensa, traballante gob-bah.
- Vedi cosa ti è successo? - disse il Genio; - questa gobba te la sei voluta proprio tu, con la tua pigrizia. Oggi è giovedì, e tu non hai fatto ancora nulla, mentre il lavoro ha avuto inizio lunedì. Ora devi andare a lavorare.
- Come è possibile, - protestò il Cammello, - con questa gobbah sulla schiena?
- Anzi, è fatta apposta, - replicò il Genio, - perché hai perso quei tre giorni. Ora potrai lavorare per tre giorni senza mangiare, perché puoi vivere a spese della tua gobbah; e non ti venga in mente di dire che non ho fatto niente per te. Esci dal deserto, vai a raggiungere i Tre, e comportati bene. E sgobba!
E il Cammello andò a raggiungere i Tre, e sgobbò, nonostante la gobba. E da quel giorno in poi il Cammello ebbe sempre la gobbah (noi, ora, la chiamiamo gobba per non offenderlo); ma non è ancora riuscito a recuperare i tre giorni che ha perso all'inizio del mondo, e non ha ancora imparato a comportarsi come si deve.

LA CORNACCHIA E LA BROCCA





La Cornacchia e la brocca
Una cornacchia, mezza morta di sete, trovò una brocca che una volta era stata piena d'acqua. Ma quando infilò il becco nella brocca si accorse che vi era rimasta soltanto un po' d'acqua sul fondo.
Provò e riprovò, ma inutilmente, e alla fine fu presa da disperazione.
Le venne un'idea, prese un sasso e lo gettò nella brocca.
Poi prese un altro sasso e lo gettò nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Piano piano vide l'acqua salire verso di sé, e dopo aver gettato altri sassi riuscì a bere e a salvare la sua vita.

il leone e il topolino

Il leone e il topolino.

C'era una volta un topolino che incauto svegliò un leone
che dormiva tranquillo.
Il leone lo afferrò e se lo portò vicino alla bocca.
Il topolino terrorizzato squittì: "Vi prego, Maestà, non mangiatemi,
se mi lasciate andare vi ricambierò il favore appena avrete bisogno di me!"
"Senti, Senti" ruggì divertito il leone: "Vuoi forse aiutarmi nella caccia,
o preferisci ruggire al mio posto?".
Il topolino confuso rispose: "Ma, veramente io..."
Il leone tagliò corto: "Sei coraggioso, ti lascierò andare".
Qualche giorno dopo il leone cadde in una trappola e
si ritrovò prigioniero di una fitta e robusta rete.
Tentò con tutte le sue forze di liberarsi ma ogni suo tentativo era vano,
finché immobilizzato si rassegnò al crudele destino.
"Maestà vedo che hai bisogno di me,
rosicchierò con i miei dentini tutte le corde finché riuscirò a liberarti!"
Il topolino lavorò veloce e di lì a poco il leone fu di nuovo libero:
"Grazie amico, mai un animale così grosso e forte come me
si è trovato a dovere tanta riconoscenza ad un animale piccolo come te!"

la lepre e la tartaruga

La lepre e la tartaruga.

C'era una volta una lepre che vantandosi di correre più veloce
di chiunque altro prendeva continuamente in giro
una tartaruga per la sua lentezza finché questa
esasperata propose una gara di corsa.
La lepre si mise a ridere:
"Non c'è nessuno che possa battermi, tanto sono veloce,
accetto la sfida!".
Al via partirono insieme ma vista la lentezza dell'avversario
la lepre si fermò a schiacciare un pisolino:
"Vai pure avanti tranquilla in pochi salti ti raggiungerò!"
La tartaruga non perse tempo e corse senza mai fermarsi.
Così facendo sorpassò la lepre che dormiva e
tagliò il traguardo prima che quella si svegliasse:
"Chi va piano, va sano e va lontano!"
disse sorridendo alla lepre sconfitta.

la volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna.

C'era una volta una volpe che, fatta amicizia con una cicogna,
decise di invitarla a pranzo.
Mentre preparava un raffinato brodino non resistette alla
tentazione di farle uno scherzo: "Si accomodi, signora cicogna,
le ho preparato un brodino speciale di rane e prezzemolo!
"Grazie, Grazie" rispose contenta la cicogna,
annusando l'invitante profumo,
ma di colpo si rese conto dello scherzo:
il suo lungo becco, per quanto si sforzasse,
non riusciva a bere dal piatto basso!
"Beva, Beva! Non le piace?
L'ho preparato apposta per lei" diceva la volpe con un risolino.
"Mi dispiace, ma mi è venuto improvvisamente
un terribile mal di testa che mi ha tolto l'appetito!
La volpe premurosa si affrettò a risponderle:
"Un così buon brodo, pazienza sarà per un'altra volta!"
"Ecco brava, la prossima volta sarà a casa mia,
la invito domani a pranzo!"
La volpe si presentò puntuale a casa della cicogna e
con l'acquolina in bocca accostò la lingua ad un vaso
dalla stretta imboccatura che conteneva una minestra di pesce.
Gli sforzi della volpe si rivelarono vani,
non riuscì ad assaggiare neanche un goccio di minestra.
La volpe beffata ritornò a casa a stomaco vuoto,
mentre una vocina dentro le diceva:
"Chi la fa, l'aspetti!"

il topo di città e il topo di montagnia

Un giorno il topo di città andò a trovare il cugino di campagna.
Questo cugino era di modi semplici e rozzi, ma amava molto l'amico di città e gli diede un cordiale benvenuto. Lardo e fagioli, pane e formaggio erano tutto ciò che poteva offrirgli, ma li offrì volentieri.
Il topo di città torse il lungo naso e disse:
- Non riesco a capire, caro cugino, come tu possa tirare avanti con un cibo così misero. Vieni con me, ed io ti farò vedere come si vive. Quando avrai trascorso una settimana in città, ti meraviglierai di aver potuto sopportare la vita in campagna!
Detto fatto, i due topi si misero in cammino e arrivarono all'abitazione del topo di città a notte tarda.
- Desideri un rinfresco, dopo un viaggio così lungo? - domandò con cortesia il topo di città; e condusse l'amico nella grande sala da pranzo.
Qui trovarono i resti di un ricco banchetto e si misero subito a divorare dolci, marmellata e tutto quello che c'era di buono.
Ad un tratto udirono dei latrati.
- Che cos'è questo? - chiese il topo di campagna.
- Oh, sono soltanto i cani di casa - rispose l'altro.
- Soltanto! - esclamò il topo di campagna. - Non amo questa musica, durante i pasti. -
In quell'istante si spalancò la porta ed entrarono due enormi mastini: i due topi ebbero appena il tempo di saltar giù e di correre fuori.
- Addio, cugino - disse il topo di campagna.
- Come! Te ne vai così presto? - chiese l'altro.
- Si - replicò il topo di campagna:
"Meglio lardo e fagioli in pace che dolci e marmellata nell'angoscia."


E’ meglio vivere in santa pace una vita modesta, che vivere nel lusso sempre fra i batticuori.

IL BRUTTO ANATROCCOLO

Il brutto anatroccolo

Mamma anatra quel giorno era molto felice perchè le uova si stavano schiudendo una dopo l’altra.
Gli anatroccoli uscivano e zampettavano intorno alla mamma, però c’era un uovo, il più grande di tutti, che non si decideva a schiudersi, mamma anatra allora tornò a covare quell’uovo fino a che non si schiuse.
Con sua grande sorpresa, vide che l’anatroccolo era più grande degli altri e di colore grigio…insomma era proprio brutto.

L’anatra pensò ad un brutto scherzo giocatole dalla massaia, a dire il vero pensava che quello fosse un tacchino, però l’unico modo per togliersi i dubbi era vedere il comportamento di quello strano pulcino nell’acqua.

L’anatra, condusse la sua nidiata allo stagno, ma mentre i piccoli cominciarono a nuotare, il brutto anatroccolo si dimostrò il più abile ed il più sicuro di tutti.

La mamma lo guardò e sospirò rassegnata: “Peccato che sia così brutto”, ma per questo motivo, sentì di volergli ancora più bene e con il becco gli fece una carezza.

Radunò i suoi piccoli e disse loro che li avrebbe condotti a conoscere la loro regina quindi si raccomandò a che mantenessero un comportamento educato e rispettoso.
Alla corte della regina, tutte le damigelle cominciarono a deridere il brutto anatroccolo, il quale, preso dallo sconforto, scappò e si andò a rifugiare nella palude delle anatre selvatiche, ma anche qui la vita fu difficile, decise allora di scappare nuovamente e corse tanto fino ad arrivare in un bosco dove scorse una capanna abitata da una vecchietta, un gatto ed una gallina.

La vecchietta gli offrì ospitalità, ma il gatto e la gallina non furono per nulla contenti.
Il poverino, dopo aver subito ogni sorta di angheria decise di andarsene, con grande soddisfazione del gatto e della gallina.

Il brutto anatroccolo continuava a vagare senza sapere dove andare, una sera mentre il sole stava per tramontando, vide uno stormo di bellissimi uccelli bianchi e pensò tristemente che anche a lui sarebbe piaciuto essere così.

L’inverno era arrivato e l’anatroccolo un giorno non ebbe più la forza di nuotare, faceva troppo freddo, e certo sarebbe morto se un contadino non lo avesse visto e non lo avesse portato a casa.

Nella sua nuova abitazione l’anatroccolo trovò tanti bambini che però, come spesso accade, lo avevano scambiato per un giocattolo, fu così che una volta l’animaletto cadde nel secchio del latte, un’altra volta nel sacco della farina.
Non ne poteva proprio più, riuscì a nascondersi, ed a scappare.

Nel fare questo però, si accorse che le sue ali si erano irrobustite, le sue penne erano più bianche.
Riuscì a nascondersi nella neve in modo da riuscire a sfuggire alle ricerche dei suoi persecutori.

In qualche modo riuscì a sopravvivere nascosto nel bosco fino a primavera, ma a primavera spalancò le ali e spiccò il volo. Sotto di sé vide un laghetto dove nuotavano dei cigni maestosi. L’anatroccolo sospirò pensando che anche i cigni lo avrebbero maltrattato, e decise di volare in mezzo a loro.

Con un largo volo si posò sull’acqua ed i cigni si avvicinarono a lui gridando; il brutto anatroccolo spaventato abbassò la testa, si preparava a morire, ma nel fare questo, vide la sua immagine riflessa nell’acqua e con grande stupore vide che non era più un brutto anatroccolo, ma si era trasformato in un bellissimo cigno, bianchissimo, attorno al quale si erano radunati tutti i suoi simili facendogli mille feste.

All’istante capì tutto:era nato sì in un nido di anatre, ma da un uovo di cigno.
Il brutto pulcino grigiastro, tozzo, disprezzato e maltrattato da tutti si era trasformato in uno splendido animale che dava lustro al laghetto nel quale viveva.


IL LUPO E I SETTE CAPRETTI

C'era una volta una vecchia capra, che aveva sette caprettini, e li amava come una mamma ama i suoi bimbi. Un giorno pensò di andare nel bosco a far provviste per il desinare; li chiamò tutti e sette e disse: “Cari piccini, voglio andar nel bosco; guardatevi dal lupo; se viene, vi mangia tutti in un boccone. Quel furfante spesso si traveste, ma lo riconoscerete subito dalla voce rauca e dalle zampe nere.” I caprettini dissero: “Cara mamma, staremo ben attenti, potete andar tranquilla.” La vecchia belò e si avviò fiduciosa.

Poco dopo, qualcuno bussò alla porta, gridando: “Aprite, cari piccini; c'è qui la vostra mamma, che vi ha portato un regalo per ciascuno.” Ma, dalla voce rauca, i caprettini capirono che era il lupo. “Non apriamo,” dissero, “non sei la nostra mamma; la mamma ha una vocina dolce, la tua è rauca; tu sei il lupo.” Allora il lupo andò da un bottegaio e comprò un grosso pezzo di creta; lo mangiò e così s'addolci la voce. Poi tornò, bussò alla porta e gridò: “Aprite, cari piccini, c'è la vostra mamma, che vi ha portato un regalo per ciascuno.” Ma aveva appoggiato alla finestra la sua zampa nera; i piccini la videro e gridarono: “Non apriamo; la nostra mamma non ha le zampe nere come te: tu sei il lupo.” Allora il lupo corse da un fornaio e gli disse: “Mi son fatto male al piede, spalmaci sopra un po' di pasta.” E quando il fornaio gli ebbe spalmato la zampa, corse dal mugnaio e gli disse: “Spargimi sulla zampa un po' di farina bianca.” Il mugnaio pensò: Il lupo vuole ingannare qualcuno, e rifiutò; ma il lupo disse: “Se non lo fai, ti mangio.” Allora il mugnaio ebbe paura e gli imbiancò la zampa. Già, così fanno gli uomini.

Ora il briccone andò per la terza volta all'uscio, bussò e disse: “Apritemi, piccini; la vostra cara mammina è tornata dal bosco e vi ha portato un regalo per ciascuno.” I caprettini gridarono: “Prima facci vedere la zampa, perché sappiamo se tu sei la nostra cara mammina.” Allora il lupo mise la zampa sulla finestra, e quando essi videro che era bianca credettero tutto vero quel che diceva e aprirono la porta. Ma fu il lupo a entrare. I capretti si spaventarono e cercarono di nascondersi. Il primo saltò sotto il tavolo, il secondo nel letto, il terzo nella stufa, il quarto in cucina, il quinto nell'armadio, il sesto sotto l'acquaio, il settimo nella cassa dell'orologio a pendolo. Ma il lupo li trovò tutti e non fece complimenti: li ingoiò l'un dopo l'altro; ma l'ultimo, dentro la cassa dell'orologio, non lo trovò. Quando si fu cavata la voglia, il lupo se ne andò, si sdraiò sotto un albero sul verde prato e si mise a dormire.

Poco dopo la vecchia capra tornò dal bosco. Ah, cosa le toccò vedere! La porta di casa era spalancata, tavola sedie e panche erano rovesciate, l'acquaio era in pezzi, coperta e cuscini strappati dal letto. Cercò i suoi piccoli, ma non riuscì a trovarli da nessuna parte. Li chiamò per nome, l'un dopo l'altro, ma nessuno rispose. Finalmente, quando chiamò il più piccolo, una vocina gridò: “Cara mamma, sono nascosto nella cassa dell'orologio.” Lo tirò fuori ed egli le raccontò che era venuto il lupo e aveva divorato tutti gli altri. Pensate come pianse per i suoi poveri piccini!

Alla fine uscì tutt'afflitta e il caprettino più piccolo corse fuori con lei. Quando arrivò nel prato, ecco il lupo sdraiato sotto l'albero, e russava tanto da far tremare i rami. L'osservò da tutte le parti e notò che nella pancia rigonfia qualcosa si moveva e si dimenava. “Ah, Dio mio,” pensò, “che siano ancor vivi i miei poveri piccini, che il lupo ha divorato per cena?” Disse al capretto di correre a casa e di prendere forbici, ago e filo. Poi tagliò la pancia del mostro; e al primo taglio, un capretto mise fuori la testa, poi, via via che tagliava, saltaron fuori tutti e sei ed erano tutti vivi e stavano benone; perché il mostro per ingordigia li aveva ingoiati interi. Che gioia fu quella! Si strinsero alla loro cara mamma e saltellavano contenti come pasque. Ma la vecchia disse: “Andate, ora; e cercate delle pietre da riempir la pancia a questo dannato prima che si desti.” Allora i sette caprettini trascinarono in gran fretta le pietre e ne cacciarono in quella pancia quante ne poterono portare. Poi la vecchia la ricucì in un baleno, sicché il lupo non se ne accorse e non si mosse neppure.

Finalmente, quando ebbe fatto una bella dormita, il lupo si alzò, e perché le pietre nello stomaco gli davano una gran sete, volle andare a una fontana. Ma quando cominciò a muoversi, le pietre si misero a cozzare nella pancia con gran fracasso. Allora gridò:
“Romba e rimbomba
Nella mia pancia credevo fossero
Sei caprettini, sono pietroni
Belli e buoni.”
E quando arrivò alla fontana e si chinò sull'acqua per bere, il peso delle pietre lo tirò giù, e gli toccò miseramente affogare. A quella vista i sette capretti vennero di corsa, gridando: “Il lupo è morto! il lupo è morto!” E con la loro mamma ballarono di gioia intorno alla fontana.

FINE


Immagine: Il lupo e i sette caprettini (Grimm)

lunedì 25 giugno 2012

BIANCANEVE EI SETTE NANI

(Biancaneve e i Sette Nani)


C'era una volta una bella principessa di

nome Biancaneve: aveva i capelli neri come

l'ebano, la bocca rossa come una rosa

e la carnagione bianca come la neve.

La sua cattiva matrigna,

la regina, possedeva uno

specchio magico, a cui rivolgeva sempre la

stessa domanda. "Specchio, servo delle mie

brame, chi è la più bella del reame?"

E sempre lo specchio rispondeva: "Sei tu

la più bella del reame!" Ma la regina,

temendo che un giorno la bellezza della

principessa superasse la sua, vestì la piccola

di stracci. E la costrinse ai

lavori più pesanti. Biancaneve,

però era sempre allegra e cresceva

più graziosa che mai. Così un

giorno, lo specchio disse che era lei

la più bella del reame. Arrabbiatissima, la

regina incaricò allora un cacciatore di

ucciderla. Ma l'uomo non ne ebbe il

coraggio: suggerì alla fanciulla di

fuggire e non tornare mai più alla reggia.

Biancaneve corse via spaventata e si

rifugiò nel bosco buio. Laggiù scorse una

casetta. "E' permesso?" chiese, entrando.

Non c'era nessuno. I proprietari erano sette

nani del bosco: Dotto, Gongolo, Pisolo, Eolo, Brontolo,

Mammolo e Cucciolo. Al loro ritorno, rimasero meravigliati nel

trovare un'estranea in casa. "Sono Biancaneve," si

presentò allora la principessa e raccontò la sua triste storia. I

nanetti,

commossi,

l'invitarono

a rimanere

a vivere con loro. La fanciulla accettò felice. Ma la regina

scoprì che Biancaneve era ancora viva! Grazie a un filtro

magico, si trasformò in una strega e

avvelenò una mela. Poi si recò nel bosco

e, fingendosi una mendicante, offrì a

Biancaneve la mela stregata. "Coraggio,

dalle un morso!" Non appena la

fanciulla l'ebbe assaggiata, per

incantesimo, cadde in un sonno

profondo. Intanto gli animali del bosco erano corsi ad

avvertire i nani. "Eccola là!" esclamarono, vedendo la strega

che si allontanava veloce. Mentre la inseguirono, scoppiò un

terribile temporale. La malvagia regina si arrampicò fin sulla

cima di un profondo burrone.

Proprio allora, un fulmine la fece

precipitare dalla roccia.

I nani decisero di costruire un'urna di

cristallo e oro, dove deposero

Biancaneve. Finchè un giorno passò di

là un principe, che rimase

incantato dalla bellezza della

giovane. Sceso da cavallo, la baciò.

Quel bacio ruppe l'incantesimo e

Biancaneve si svegliò. Che gioia per tutti! Biancaneve e il

principe si sposarono e vissero sempre felici e contenti.

domenica 24 giugno 2012

AUGURI!!!!!!!!!

MILIARDI DI AUGURI PER ANGELA NAPOLITANO!!!!!!!!!!!!!!!!
OGGI COMPIE 11 ANNI!!!
AUGURI!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ho scritto Angela Napolitano perchè non ricordavo il suo nikname.

BUONA ESTATE!!!!!!!!!!!!!!!

BUONE  VACANZE  ESTIVE  DA  SEA.AZZURRO


mercoledì 20 giugno 2012

qualche parola da parte della propietaria del blog

                                                ALLORA.......
...... o non visitate più il mio blog oppure lo visitate ,ma non scrivete mai un commento.
Ho moltissimi post senza neanche un commento.
Facendo così mi fate pensare che non importo a nessuno.
Se c'è qualcuno che a volte da una sbirciatina al mio blog gli prego discrivermi un commento su un post e di   scrivere che visita il blog ma non fa commenti.
Poi se nessuno lo guarda........non posso farci niente.Non vi comando.
Magari scrivendomi penserò che a qualcuno importo.


              DA SEA.AZZURRO

Alì Babà e i quaranta ladroni

Alì Babà e i quaranta ladroni

Nel tempo dei tempi, in una città della Persia, vivevano due fratelli, che si chiamavano uno Qassim e l'altro Alì Babà.
Quando il padre di costoro, che era un uomo di modeste risorse, morì, i due fratelli si divisero equamente i magri beni lasciati dal genitore.
Certo l'eredità non migliorò di molto la condizione dei due fratelli, perchè i beni lasciati dal padre erano ben poca cosa. Ma Qassim ebbe la fortuna di conoscere un giorno una donna che gli combinò un matrimonio con una ragazza piacevole di aspetto e per giunta provvista di beni di fortuna e padrona di una bottega fornita di ogni mercanzia, così che Qassim diventò dall'oggi al domani un uomo agiato, anzi, uno dei più ricchi mercanti della città e potè fare a meno di preoccuparsi dell'avvenire.
Alì Babà invece aveva sposato una donna povera come lui, viveva in una'povera casa e possedeva quale unica ricchezza tre somari che gli servivano per trasportare in città la legna che andava a tagliare nei boschi e con la vendita della quale tirava avanti 'alla meno peggio.

Ora avvenne che un giorno, mentre Alì Babà si trovava nel bosco a tagliare legna come al solito, senti in lontananza un rumore sordo che si avvicinava sempre più : si trattava del trepestio di parecchi cavalli che correvano al galoppo.
Poichè quel luogo era lontano da ogni via di passaggio e molto solitario, Alì Babà pensò dovesse trattarsi di qualche banda di ladri e ritenne prudente mettersi in salvo fino a che non avesse potuto vedere chi erano i cavalieri che arrivavano così di carriera.
Perciò si arrampicò su un grande albero che sorgeva in cima a una rupe isolata e si nascose fra i rami in modo da poter vedere senza essere veduto. E fu una saggia decisione la sua, perchè di lì a poco vide arrivare al gran galoppo una masnada di cavalieri, grandi e grossi, armati fino ai denti e dalle facce feroci.
Alì Babà capì allora di non essersi sbagliato e fu certo che quegli uomini dal fiero aspetto erano dei banditi di strada.
A un cenno del loro capo, smontarono da cavallo, legarono le bestie agli alberi, quindi tolsero dalle selle delle bisacce e se le caricarono sulle spalle. Curvi sotto il peso delle bisacce, s'incamminarono in fila indiana sfilando sotto l'albero dove si trovava Alì Babà il quale potè così contarli comodamente e vide che erano in tutto quaranta, nè uno di più nè uno di meno.
Colui che marciava in testa alla fila e che doveva essere il capo dei banditi, arrivato davanti a una grande roccia seminascosta da un folto di cespugli, si fermò, depositò la propria bisaccia a terra e, con voce squillante, gridò:
" Sesamo, apriti! " Non appena ebbe detto queste parole, ecco che la roccia girò su se stessa, come una porta sui cardini, rivelando una vasta apertura.I banditi uno dopo l'altro e da ultimo il capo, dopo essersi ricaricata sulle spalle la bisaccia, entrò anche lui; dopo di che la roccia girò di nuovo su se stessa bloccando l'apertura e per quanto Alì Babà, che pure non era lontano, aguzzasse la vista, non gli fu possibile scorgere nè un segno nè una fenditura che rivelasse l'ingresso di una grotta.
Alì Babà, che aveva assistito stupefatto allo spettacolo che si era svolto sotto i suoi occhi, non sapeva che partito prendere. Dapprima pensò di scendere dall'albero, impadronirsi di un paio di cavalli e fuggire con quelli in città. Ma riflettendoci bene temette che i banditi uscissero dalla grotta mentre lui cercava di squagliarsela, e in tal caso nessuno avrebbe potuto salvarlo da una fine miserevole. Decise perciò che la cosa migliore era di rimanere dove si trovava, anche perchè era incuriosito di vedere che cosa sarebbe successo.
Dopo un bel po' che stava lì sull'albero e si sentiva già le gambe molli per la scomoda posizione, Alì Babà vide che la roccia tornava a girare su se stessa, ed ecco che dall'antro uscirono di nuovo in fila indiana i banditi recando in mano le bisacce, ma questa volta vuote. Da ultimo uscí il capo il quale assicuratosi che nessuno fosse rimasto nella grotta, si voltò verso la roccia e con la solita voce squillante gridò:
" Sesamo, chiuditi! " Dopo di che i banditi tornarono tutti ai cavalli, legarono le bisacce alle selle, montarono in groppa e spronarono via.
Alì Babà sarebbe stato tentato di scendere subito dall'albero, ma la prudenza di cui Allà lo aveva fornito gli consigliò di rimanere dove si trovava, in quanto pensò che forse i ladroni potevano aver dimenticato qualche cosa e sarebbero tornati indietro a prenderla e così lo avrebbero sorpreso.
Cercò di seguire con l'occhio per quanto potè i cavalieri e quando li vide scomparire nel folto degli alberi si mise a spiare la nuvola di polvere, che sollevavano le loro cavalcature.
Quando alla fine la nuvola di polvere, che si rimpiccioliva sempre pìù, scomparve del tutto ai suoi occhi, allora Alì Babà, sentendosi abbastanza sicuro, scese dall'albero e si avvicinò incuriosito alla roccia cominciando a guardare bene da tutte le parti. Ma per quanto guardasse e smuovesse cespugli, non gli fu possibile vedere alcuna anfrattuosità, alcuna fessura, non gli fu possibile insomma scoprire alcun indizio che quella roccia si fosse mai mossa dal suo posto fin da quando, nella notte dei tempi, il Signore l'aveva collocata in quel luogo.
Siccome, però, egli ricordava la formula pronunciata dal capo dei ladroni, fu spinto dalla curiosità di constatare se quelle parole avevano lo stesso potere magico anche in bocca a lui.
Si piantò quindi davanti alla roccia e ad alta voce gridò:
" Sesamo, apriti! " E sebbene la sua voce tremasse un poco per l'emozione, la roccia cominciò a girare su se stessa rivelando una vasta apertura. Alì Babà fu preso da un indicibile spavento, senti che le gambe gli tremavano e fu sul punto di fuggire; se non che, gettando un'occhiata verso l'interno dell'apertura, invece della grotta buia e spaventosa che si era immaginata, vide una galleria di pietra ben levigata, spaziosa e bene illuminata da un fiotto di luce che pioveva dall'alto.
Quella vista lo rincuorò , e se la paura lo tirava indietro la curiosità lo spingeva avanti, e così un passo dietro l'altro cominciò ad inoltrarsi nella galleria.
Fatti pochi passi, senti che la roccia girava di nuovo sui cardini e richiudeva l'apertura. Lì per lì fu preso da un indicibile spavento, ma poi pensò che la formula magica, così come aveva funzionato per farlo entrare, avrebbe funzionato per farlo uscire. Tranquillizzato da questo pensiero, cominciò ad ispezionare il luogo in cui si trovava e, passando di meraviglia in meraviglia, vide che la galleria era piena zeppa di balle di stoffa preziosa, di tappeti finissimi e, cosa ancor più sorprendente, di sacchi e di cofani traboccanti di monete d'oro, di gioielli e di pietre preziose. E il povero Alì Babà, che in vita sua non aveva mai veduto nemmeno una parte infinitesima di tante ricchezze, sbarrava gli occhi e a malapena osava toccare con la punta delle dita quell'oro, quei diamanti, quelle gemme, e andava dicendosi che quella grotta doveva essere servita di rifugio non solo a quei quaranta ladroni, ma anche agli antenati di quelli e agli antenati degli antenati, e ad intere generazioni di ladroni fin dall'origine dei secoli.
Passati i primi istanti di stupore e di sbigottimento, Alì Babà si disse:
" Nulla accade che il Signore non voglia! Se tu, o Alì Babà, povero legnaiolo, sei riuscito a entrare in questo luogo e a mettere le mani su tante ricchezze, è evidente che questa è la volontà di Colui che dà e prende. Non v'è dubbio su quale sia la volontà del Signore: Egli certamente desidera che quest'oro, frutto di tante ruberie e rapine, sia usato a fin di bene, perchè tu ne faccia elemosine e viva con la tua famiglia al riparo dal bisogno e dalle ristrettezze. "
E dopo essersi messo in pace la coscienza con questo ragionamento, il povero Alì Babà prese un sacco pieno di monete d'oro e lo trascinò fino all'imboccatura della galleria. Poi fece lo stesso con un secondo sacco e con un terzo, e tanti ne preparò quanti pensava che i suoi somari potessero trasportarne. Quando ebbe ultimato il suo lavoro, si mise davanti all'imboccatura della caverna e ad alta voce disse:
" Sesamo, apriti! " E subito la roccia girò su se stessa e Alì Babà trascinò all'aperto i sacchi colmi d'oro che aveva preparato. Poi, voltatosi verso l'apertura della grotta, disse ad alta voce:
" Sesamo, chiuditi! " e la roccia tornò a girare,su se stessa e si chiuse.

Alì Babà attaccò i sacchi al basto dei somari e per evitare la curiosità della gente ebbe cura di nasconderli sotto le fascine di legna. Poi riprese il cammino per la città e arrivato a casa sua condusse gli asini in una piccola corte interna, dove nessuno poteva vederlo, e cominciò a scaricare i sacchi.
Ed ecco che arrivò la moglie di Alì Babà, che vedendo il marito indaffarato a scaricare sacchi così pesanti , cominciò a chiedergli che cosa fosse quella roba, e dove l'avesse trovata e chi gliel'avesse data poi si mise ad aiutare il marito a trasportare i sacchi in casa, ma poichè palpandoli li sentiva come fossero pieni di monete, la sua curiosità non fece che aumentare. Così, quando ebbero terminato di trasportare tutti i sacchi in casa, volle subito aprirne uno e, vistolo colmo di pezzi d'oro, si rallerò ma si preoccupò pure che Ali Babà avesse rubato tutta quella fortuna.
" Marito mio, " disse la donna, " non ho certo intenzione di contare a una a una tutte queste monete. Però, prima di sotterrarle, voglio sapere a quanto ammonta la nostra fortuna. Perciò andrò a farmi prestare una misura di legno da qualche vicina mentre tu scaverai la fossa per nasconderla. Così sapremo quanto potremo spendere per il necessario e per il superfluo, e potremo regolare convenientemente la nostra vita. "
Alì Babà pensò che il ragionamento della moglie non fosse sbagliato e le disse:
" E va bene! Va' pure! Ma fa' presto, e soprattutto bada di non rivelare ad anima viva il nostro segreto. "
La moglie di Alì Babà si mise il velo sul volto e uscì per andare in cerca della misura di legno che le occorreva, e, strada facendo, pensò che la cosa migliore fosse quella di andarla a chiedere alla cognata, la moglie di Qassim, il fratello ricco di suo marito.
Così fece; e recatasi a casa di Qassim chiese alla cognata se poteva prestarle una misura di legno, e la cognata le rispose: " Volentieri, cognata mia, perchè, se vieni a chiedermi una misura, vuol dire che ti serve per misurare qualcosa, e se hai qualcosa da misurare vuol dire che è entata la prosperità in casa tua. "
E poichè la moglie di Ali Babà non rispondeva nè sì nè no, l'altra, rodendosi di curiosità, andò a prendere la misura di legno, ne spalmò il fondo all'esterno con un po' di sego.
Fatto ciò tornò dalla cognata e le consegnò la misura. La donna la ringraziò e se ne tornò a casa; qui giunta, si sedette per terra accanto ai sacchi e affondando la misura nelle monete d'oro cominciò a contare tutto quel denaro, facendo, per ogni misura che passava, un segno col carbone sul muro.
Quando ebbe finito di passare l'oro, chiamò Alì Babà e gli mostrò i segni che aveva fatto sul muro e che quasi riempivano una intera parete. Poi, quando lei e il marito ebbero deposto i sacchi nella buca che Ali Babà aveva scavato e li ebbero ricoperti ben bene con la terra, la donna prese la misura si velò, e andò a restituirla alla cognata, ringraziandola per il servigio che le aveva reso. Non appena la moglie di Alì Babà fu uscita, la cognata con suo grande stupore, vide che attaccata sul fondo unto di grasso c'era una moneta d'oro. Prese in mano la moneta e constatò che era di oro buono e subito si sentì il cuore attanagliato dall'invidia ed esclamò:
" Ma come? Quel pezzente di Alì Babà ha tanto denaro da doverlo contare a misure? E come avrà fatto a procurarselo? "
Era sera, quando il marito, Qassim tornò a casa, la moglie andò subito incontro e gli disse:
" 0 Qassim, chi pensi che sia più ricco fra te e tuo fratello? "
Qassim la guardò sbalordito e le disse:
" Che discorsi sono questi? Sai benissimo che mio fratello è un poveraccio buono a nulla. Che significa questa domanda? "
" Allora sappi, o Qassim, " gli disse la moglie, " che ti sbagli di grosso, perchè tuo fratello Alì Babà è infinitamente più ricco di te, e in effetti è tanto ricco che per contare il suo denaro ha bisogno di una misura da grano. " E allo sbalordito Qassim raccontò tutto quello che le era capitato con la moglie di Alì Babà e concluse il suo discorso mostrandogli la moneta d'oro che era rimasta attaccata sul fondo della misura di legno.
Quando Qassim ebbe udito il racconto della moglie ed ebbe visto la moneta d'oro, non seppe darsi pace, e per tutta la notte non fece che rigirarsi nel letto, pensando a come potesse essere capitata tanta ricchezza fra le mani del fratello.
La mattina seguente, dopo aver passato una intera nottata a rodersi il fegato, Qassim uscì di buon'ora, si recò difilato dal fratello e senza nemmeno salutarlo e informarsi della sua salute gli disse:
" Che cosa sono tuttì questi segreti? Ti sembra bello ingannare la gente in questo modo? Ma come? Te ne vai in giro come un pezzente a piangere miseria e poi misuri le monete d'oro a staia? E nemmeno a me, che sono tuo fratello, dici nulla dei tuoi affari nè mi metti al corrente dì quello che ti capita. "
Alì Babà rimase interdetto, perchè temeva l'invidia e la gelosia del fratello e della cognata. Così rispose:
" Fratello mio, perchè ti lamenti se è questa la prima volta, in tanti anni, che metti piede nella mia casa? "
" Adesso non si tratta di questo, Alì Babà, " rispose impaziente Qassim, " ma si tratta dei fatto che tu inganni la gente dabbene fingendoti povero quando non lo sei, dato che non ho mai visto un povero contare il denaro con una misura da grano. "
Alì Babà , capì che il fratello era al corrente di tutto e che sarebbe stato inutile cercare di fingere. Perciò, facendo buon viso a cattivo gioco, gli raccontò tutto quanto gli era capitato nel bosco e concluse dicendo.
" Fratello mio, ti prego di volere accettare metà dell'oro che ho portato fuori da quella grotta. "
Qassim, nel quale il racconto del fratello aveva risvegliato la cupidigia la tracotanza e la malizia, rispose:
" Piuttosto, hai dimenticato di dirmi quali sono le parole magiche che aprono la roccia. Prima di mettere le mani su quest'oro, voglio essere sicuro che quello che mi hai raccontato sia vero, perchè io sono un mercante rispettabile e non mi piacerebbe di trovarmi coinvolto in qualche pasticcio. Avanti dunque: dimmi quali sono queste parole e bada bene di non imbrogliarmi, perchè altrimenti andrò dal capo della polizia e ti denuncerò come complice dei ladroni. E non so se questo ti converrebbe. "
Alì Babà disse al fratello quali erano le parole magiche che servivano per fare aprire la roccia, e quando Qassim le ebbe udite se ne andò senza nemmeno ringraziare Alì Babà.

La mattina dopo, di buon'ora, Qassim fece mettere il basto a dieci muli e su ogni basto fece attaccare due robuste casse. Poi si avviò verso il bosco, nel luogo indicato dal fratello. Trovò subito l'albero, al quale legò i muli, e, regolandosi su quello, non ebbe difficoltà a individuare la roccia. Postosi dunque davanti alla roccia, pronunciò ad alta voce le parole:" Sesamo, apriti! " E subito la roccia cominciò a girare su se stessa rivelando l'apertura della grotta.
Qassim si precipitò dentro, ma fatti alcuni passi rimase impietrito dallo stupore perchè gli era bastata una sola occhiata per rendersi conto delle immense ricchezze che si trovavano nascoste in quel luogo; infatti, l'oro che il fratello aveva portato fuori non era che una minima parte di ciò che conteneva quella grotta.
Riavutosi dal primo stupore, Qassim cominciò, con il fiato mozzo dall'entusiasmo, a fare il giro della grotta, palpando e toccando le cose preziose che vi erano contenute e gettando esclamazioni di meraviglia. Con la bava alla bocca e gli occhi accesi di cupidigia, per un pezzo non fece che andare da un sacco all'altro e da un cofano all'altro valutando in cuor suo quelle ricchezze e accarezzandole con le sue mani da mercante come se già fossero roba sua.
Pensò che per portar via quel tesoro ci sarebbe voluta una carovana di cammelli . Allora gli venne fatto di pensare ai dieci muli che aveva lasciato fuori accanto all'albero e decise di andarli a prendere, per caricare intanto quelli con quanta più roba gli fosse stato possibile. Così, fece per uscire dalla grotta, ma trovò che l'imboccatura era chiusa perchè, non appena era entrato, la roccia, come al solito, aveva di nuovo girato su se stessa e Qassim non se ne era accorto, tutto preso dall'entusiasmo per quel che vedeva.
Volle allora pronunciare le parole magiche per far riaprire la roccia, ma la vista di tutti quei tesori gli aveva stravolto il cervello e aveva dimenticato completamente quali fossero quelle parole.
Così si piantò davanti alla roccia e gridò:
" Orzo, apriti! " e poichè la roccia non si muoveva, ripetè ancora due o tre volte ad alta voce
" Orzo, apriti! " Ma la roccia continuò a rimanere ferma. Allora Qassim cominciò a pensare che la parola, magica dovesse essere un'altra: forse segala..... Perciò, con quanto fiato aveva in corpo, gridò: " Segala, apriti! " Ma naturalmente non accadde nulla. Dopo aver ripetuto più volte queste parole, Qassim cominciò a spazientirsi, e poi ad inquietarsi, e senza prender fiato si mise a ripetere la formula usando i nomi di tutte le semenze e di tutti i cereali che gli venivano in mente. Tutti li nominò tranne quello giusto.
Quando Qassim ebbe provato inutilmente tutti i nomi che gli venivano alla memoria, fu preso dal terrore di non poter più uscire dalla grotta. Allora non gli importò più niente di tutte quelle ricchezze e desiderò una sola cosa: uscire di nuovo alla luce del sole.
Come un forsennato, si mise a correre cercando un'apertura o un appiglio che gli permettesse di arrampicarsi fino alla volta della galleria da dove pioveva il fiotto di luce. Ma le pareti erano tutte di marmo liscio e levigato, unite e compatte, e non solo non vi erano appigli, ma non vi era nemmeno l'ombra di un'apertura. Alla fine si gettò a terra stremato di forze e rimase lì a piangere e ad ansimare per un pezzo, quand'ecco d'un tratto sentì fuori della grotta un rumore di cavalli al galoppo.
In effetti proprio quel giorno i quaranta ladroni avevano deciso di tornare nella grotta per nascondervi dell'altro bottino. Ma quando furono arrivati nei pressi della roccia videro i muli con le casse, legati all'albero, e allora, sguainate le spade, scesero subito da cavallo e cominciarono a frugare tutt'intorno e fra i cespugli per scovare il padrone di quei muli e ucciderlo. Ma per quanto cercassero dappertutto, non riuscirono a trovare anima viva. Allora il capo dei banditi, dopo essersi consultato con i suoi, si piazzò davanti alla roccia e gridò:
" Sesamo, apriti! " e la roccia girò su se stessa aprendosi.
Qassim, che dall'interno della grotta aveva udito le imprecazioni e le grida di rabbia dei banditi, si era nascosto in un angolo, appiattito fra due sacchi di monete d'oro. Quando però vide che la roccia inaspettatamente si apriva non ebbe altro pensiero che quello di correre a mettersi in salvo. Si precipitò dunque a testa bassa, verso l'apertura, ma andò a cozzare proprio contro il capo dei banditi, così entrambi caddero distesi per terra, e prima che Qassim potesse rialzarsi e fuggire gli altri briganti gli furono addosso e lo fecero a pezzi con le loro spade.
Quanto ai ladroni, dopo che ebbero ucciso Qassim, entrarono nella grotta e videro ammucchiati da una parte i sacchi e i cofani che Qassim aveva preparato per caricarli sui muli. Allora si sedettero in circolo e tennero consiglio chiedendosi come mai quell'uomo fosse riuscito a entrare nella loro grotta. Alla fine, poichè non trovarono una spiegazione soddisfacente a quel fatto strano, e poichè d'altra parte erano convinti d'essere i soli a possedere la formula magica che faceva aprire la roccia, e visto che l'intruso era morto e non avrebbe più potuto parlare con nessuno, rivelando l'esistenza del loro nascondiglio, decisero di vuotare le bisacce e di tornarsene al loro mestiere di razziatori.
Questo per quanto riguarda Qassim e i quaranta ladroni.
Ma torniamo ai quaranta ladroni, i quali, tornati alla grotta, rimasero di sasso constatando che il cadavere di Qassim era scomparso. Ma il loro sbigottimento non doveva conoscere limiti quando, insospettiti dalla cosa, si diedero a controllare il loro tesoro e dovettero concludere, ahiloro! che qualcuno aveva portato via una quantità notevole di monete d'oro. Allora si sedettero per terra in circolo e il capo così parlò:
" Miei prodi! Il nostro segreto, non so come, è stato scoperto, e se noi non escogitiamo qualche espediente per porre rimedio a questa faccenda ci vedremo sparire sotto il naso il tesoro accumulato in tanti anni di fatiche da noi e dai nostri antenati. Ormai non v'è più dubbio che il ladro da noi sorpreso nella grotta aveva un complice, ed è perciò indispensabile che noi scopriamo questo complice e l'uccidiamo, perchè il nostro segreto torni ad essere tale e i frutti delle nostre fatiche siano di nuovo al riparo dalla cupidigia dei mariuoli. Io propongo perciò che uno di noi si travesta da derviscio straniero, si rechi in città e, girando di strada in strada e di bottega in bottega veda di scoprire il nome di colui che cerchiamo. Ma è necessario che l'indagine sia condotta con astuzia e prudenza, perchè il più piccolo sbaglio potrebbe compromettere la riuscita dell'impresa. Perciò io propongo che colui il quale si assumerà l'incarico debba accettare di essere punito con la morte se commetterà qualche leggerezza o qualche errore. "
Allora uno dei ladroni si alzò e disse:
" Mi offro io di condurre in porto l'impresa e accetto la condizione che avete posto. "
Il capo e gli altri suoi compagni si felicitarono con lui, gli augurarono buona fortuna e quello, dopo essersi travestito da derviscio, se ne andò.
Non appena il loro compagno li ebbe raggiunti nella foresta e li ebbe informati di tutto quello che aveva fatto, essi si alzarono e s'incamminarono verso la città, dove entrarono a due a due per non destare sospetti nella gente.
Arrivati però nella strada indicata dal loro compagno, rimasero di sasso vedendo che tutte le porte recavano il medesimo segno fatto col gesso. Allora a un cenno del capo tornarono nella foresta e riunitisi a consiglio decisero che colui che aveva sbagliato doveva essere punito con la morte, come era stato convenuto. E senza porre tempo in mezzo presero il colpevole e gli mozzarono il capo.
D'altra parte, poichè diventava sempre più urgente sbarazzarsi di un nemico così astuto, un altro ladrone si offrì di andare in città a compiere la missione che il primo aveva fallito. Costui tornò in città, si fece indicare la strada e la casa del cadavere , fece sulla porta un segno rosso in un luogo poco visibile. Dopo di che se ne tornò, sicuro del fatto suo, verso la foresta.

Quando i ladroni tornarono a due a due in città e arrivarono nella strada dove abitava Alì Babà, rimasero ancora più stupefatti della prima volta constatando che tutte le porte di quella strada avevano lo stesso segno rosso nello stesso posto.
E questo era avvenuto perchè l'astuta Margiana, la fedele schiava di Alì Babà, messa in sospetto da quel primo segno fatto col gesso, aveva tenuto gli occhi aperti e non aveva tardato a scoprire il segno rosso fatto dal secondo ladrone. Cosi aveva ripetuto il segno su tutte le porte della strada confondendo le idee ai nemici del suo padrone.
Quando i ladroni furono ritornati nella foresta, anche il secondo esploratore subì la stessa sorte del primo, perchè così era scritto, anche se egli non lo sapeva. E il risultato di tutto questo affare fu che la banda si trovò menomata di due uomini fra i più coraggiosi.
A questo punto il capo dei ladroni, dopo aver riflettuto sulla situazione,si disse:
" Ormai mi fiderò solo di me stesso! " detto ciò si alzò e si recò in città facendosi indicare la casa del cadavere . Ma egli non fece come gli altri, non perse tempo a segnare la porta della casa di bianco o di rosso, ma rimase lì un bel pezzo ad osservarla per fissarsi nella mente qualche particolare che lo aiutasse a distinguerla dalle altre perchè, come già si è detto, le case di quella strada, viste dal di fuori, erano tutte uguali.
Quando fu ben sicuro che, tornando, non avrebbe potuto sbagliare, riprese la via della foresta e appena arrivato radunò intorno a sè i trentasette ladroni che rimanevano e disse loro:
" Miei prodi, finalmente la casa del nostro nemico è scoperta! A noi non rimane altro che infliggergli la punizione che si merita. Ed ora ascoltatemi bene: procuratevi al più presto trentotto giare, molto grandi e capaci e con l'imboccatura larga tanto che possa passarvi un uomo. Trentasette di queste giare le porterete qui vuote. La trentottesima dovrà essere piena di olio di oliva. E mi raccomando, badate bene che siano robuste e senza crepe. E adesso andate e tornate al più presto. "
Quando i ladroni tornarono con le giare attaccate alle selle dei cavalli, il capo disse loro di togliersi gli abiti, conservando solo il turbante, le babbucce e le armi, poi ordinò a ciascun uomo di infilarsi in una giara. Quando vide che tutti erano a posto, chiuse l'imboccatura delle giare con fibre di palma affinchè i curiosi non potessero guardarvi dentro e colui che vi era nascosto potesse respirare liberamente. Prese quindi un po' d'olio e unse l'esterno delle giare, così che nessuno potesse dubitare che quelle giare contenevano una merce diversa dall'olio. Infine, anch'egli depose i suoi abiti, si travestì da mercante d'olio e, spingendo davanti a sè la fila dei cavalli, sì avviò verso la città.
Arrivò nella strada dove abitava Ali Babà che già annottava ed ebbe la fortuna di trovare sulla porta di casa lo stesso Alì Babà che prendeva il fresco prima della preghiera della sera.
Allora il capo dei ladroni fece fermare i cavalli, si avvicinò ad Alì Babà e dopo averlo salutato gli disse:
"Signore, come vedi io sono un mercante d'olio e sono venuto da molto lontano a vendere la mia merce in questa città. Purtroppo il viaggio è stato più lungo del previsto e sono entrato in città così tardi che non mi riesce più di trovare un luogo dove alloggiare. Ora, ti pregherei di volermi ospitare per questa notte, perchè altrimenti non saprei dove andare. "
Ali Babà, che era un brav'uomo sempre disposto ad aiutare il prossimo, subito si alzò in piedi e cosi rispose al capo dei ladro:
" 0 mercante d'olio, che la mia dimora possa essere per te confortevole e accogliente. Entra. Tu sei il benvenuto! " E detto questo prese per mano l'ospite e fece entrare i cavalli nel cortile; poi chiamò Margiana, alla quale ordinò di preparare la cena anche per l'ospite, e a un suo schiavo, di nome Abdallàh, disse di aiutare il forestiero a scaricate le giare e a dar da mangiare alle bestie. Quando tutto fu in ordine, Alì Babà prese per mano l'ospite e lo fece entrare in casa, lo fece sedere accanto a sè e poi ordinò che venisse servita la cena.
Così mangiarono e bevvero in abbondanza .
Finita la cena Alì Babà, per non mettere in imbarazzo l'ospite, si alzò e, dopo avergli augurato la buona notte, si congedò dicendogli:
" Signore, la mia casa è la tua casa e tutto quello che essa contiene è tuo. " Al che il mercante rispose:
" La tua,generosità, o mio ospite, è degna del migliore dei musulmani. Tuttavia, dimmi dove potrei andare al gabinetto! "
Alì Babà gli indicò allora il gabinetto, che si trovava nel cortile proprio dove erano state deposte le giare, quindi gli rinnovò la buona notte e si ritirò.
Rimasto solo, il capo dei ladroni, con la scusa di andare a fare i suoi bisogni, scese nel cortile e, avvicinatosi'all'imboccatura della prima giara, disse sottovoce:
" 0 tu che sei nascosto lì dentro, quando sentirai un sasso colpire la tua giara, esci subito con le armi in pugno e corri da me. " E la stessa cosa ripetè all'imboccatura di tutte e trentasette le giare. Dopo di che, tornò in camera, spense la lucerna e si stese sul letto, contando di svegliarsi quando la notte fosse ormai fonda e tutto in casa fosse tranquillo.

Mentre ciò accadeva, Margiana era intenta a riordinare la cucina, ed ecco che ad un tratto la lampada che aveva con sè si spense per mancanza d'olio. Allora Margiana chiamò lo schiavo Abdallàh e gli disse:
" Guarda che guaio mi è capitato: si è spenta la lampada e in casa non c'è più nemmeno una goccia d'olio, nè saprei a quest'ora dove procurarmene un po'. "
Sentendo questo, Abdallàh si mise a ridere e le disse prendendola in giro: " Sono tutte qui le tue risorse, o Margiana? Perchè dici che in casa non c'è una goccia d'olio, quando in cortile sono allineate in bell'ordine trentotto giare colme d'olio? "
rispose Margiana: " Hai proprio ragione! Come mai non ci ho pensato prima? " Prese un recipiente e scese in cortile. Si avvicinò a una giara, ne tolse il coperchio e vi ficcò dentro il recipiente, ma sentì che questo non si tuffava nell'olio, bensì urtava contro qualcosa di duro, mentre dall'interno della giara usciva una voce:
" Il capo m'aveva detto che avrebbe tirato una pietra, ma questo è un vero e proprio masso! Avanti, usciamo di qui, è arrivato il momento! "
E Margiana, con gli occhi sbarrati dal terrore, vide sbucare dall'imboccatura della giara la testa di un uomo. Chiunque altro si sarebbe messo a gridare e a chiamare aiuto, ma non Margiana. la quale, riacquistata subito la presenza di spirito, si avvicinò a quella testa che cercava di uscire dalla giara e le disse:
" Non muoverti ancora, o mio prode. Il capo sta dormendo. Il momento non è giunto. " Dopo di che richiuse l'imboccatura della giara e passò in rassegna tutte le altre giare constatando che in ciascuna di esse si nascondeva un uomo, tranne che nell'ultima, la quale era veramente piena di olio.
Allora Margiana prese il calderone che le serviva per fare il bucato e lo mise sul fuoco; poi, servendosi del recipiente che aveva portato con sè travasò tutto l'olio della trentottesima giara nel calderone ed aspettò fino 'a che l'olio non fu bollente. Quando vide che era arrivato al punto giusto di calore, prese un grosso secchio, lo riempì d'olio e, avvicinatasi alla prima giara, tolse il coperchio di fibra di palma e con un colpo solo vi rovesciò dentro l'olio bollente, si che colui il quale vi era nascosto dentro non ebbe nemmeno il tempo di gridare, ma si ritrovò morto senza accorgersene.
Una dopo l'altra, Margiana ripetè la stessa operazione con tutte le altre giare, liberando così il suo padrone da quei trentasette ladroni. Quando ebbe terminato, rimise in ordine ogni cosa, chiuse di nuovo le giare con il coperchio di fibre di palma e si nascose in un angolo per vedere che cosa sarebbe accaduto.
Ed ecco che verso la metà della notte il falso mercante d'olio si svegliò, si affaciò alla finestra della stanza che dava sul cortile e, sentendo che in casa tutto era quieto e silenzioso, prese una manciata di sassolini che si era portata appresso e cominciò a tirarli uno a uno contro le giare che erano allineate dabbasso; e siccome era un ottimo tiratore non sbagliò nemmeno un colpo. Ma nulla si mosse: nè una testa, nè una punta di pugnale apparve all'imboccatura di una giara.
Allora, imprecando contro quei buoni a niente che dormivano, incuranti del suo segnale, scese dabbasso e fece per precipitarsi verso le giare, ma si fermò di colpo sentendo un orribile puzzo di carne bruciata. Tappandosi il naso, si avvicinò a una giara, la scoperchiò e v'introdusse una mano e senti che le pareti scottavano come quelle di un forno. Allora, accostata la lampada all'imboccatura della giara, guardò dentro e vide che c'era uno dei suoi uomini, morto bruciato. Scoperchiò ad una ad una tutte le trentasette giare e ogni volta lo spettacolo che vide fu lo stesso. Allora il capo dei ladroni capì che il suo trucco era stato scoperto e fu preso da una tale paura che, con un solo salto, scavalcò il muro del cortile e si sfracellò nel precipizio.
Quando Margiana fu sicura che il capo dei banditi era fuggito e che in casa tutto era tranquillo, spense la lampada e se ne andò a dormire come se niente fosse. La mattina di buon'ora si alzò e andò a svegliare il suo padrone Alì Babà e, presolo per mano, lo condusse nel cortile.
" Che significa questo, o Margiana? " le chiese Alì Babà. " Perchè mi hai svegliato così presto? "
rispose Margiana: " Per mostrarti qualcosa che t'interesserà. "
Margiana si avvicinò a una giara, ne tolse il coperchio di fibre di palma e:
" Ti prego, " disse al padrone, " da' un'occhiata qui dentro. " Alì Babà si avvicinò all'imboccatura della giara, guardò dentro e subito si ritrasse pieno di stupore e di raccapriccio.
" Che significa questo, o Margiana? Chi è quest'uomo? E come avviene che si trovi qui dentro? "
E quando Ali Babà, passando di stupore in stupore e di raccapriccio in raccapriccio, ebbe constatato che trentasette giare contenevano altrettanti uomini morti, Margiana lo prese per mano e fattolo sedere in un angolo del cortile gli raccontò per filo e per segno tutto quello che era accaduto e di cui fino a quel momento non aveva fatto parola con nessuno. E cominciò proprio dall'inizio, dal giorno, cioè, in cui aveva scoperto sulla porta di casa il segno fatto col gesso.
Quando ebbe terminato il racconto, Alì Babà scoppiò a piangere per la commozione, quindi, stringendosi al petto della fanciulla, la baciò e le disse:
" Figliola cara sia benedetto il giorno in chi tu sei entrata in questa casa! Hai fatto di più tu per noi che noi tutti per te. Io voglio che d'ora in poi tu sia come mia figlia e figlia della madre dei miei figli e che tu sia preposta al governo della casa e che i miei figli ti amino e ti rispettino come la loro sorella maggiore!"
Dopo di che Alì Babà, aiutato da Margiana e dallo schiavo Abdallàh, scavò una gran fossa in giardino e vi seppellì le giare con i trentasette ladroni .
Oramai il segreto della caverna lo conosceva solo Alì Babà e visse nelle agiatezze per moltissimi anni.



sabato 17 marzo 2012

avviso

Scusa a tutti se non ho pubblicato niente in tanto tempo.
Ma ora finalmente ho trovato la storia di una sorella e un fratello sempre uniti:HANSEL E GRETEL.
So che è molto lunga, ma leggetela perchè è davvero molto bella.
Vi raccomando scrivetemi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!



                                da:SEA.AZZURRO.

CIAO A TUTTI E A MARTEDI!!!!!!!!!!!

Hansel e Gretel


Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel. Infine giunse un tempo in cui non pot‚ più provvedere neanche a questo e non sapeva più a che santo votarsi. Una sera, mentre si voltava inquieto nel letto, la moglie gli disse: "Ascolta marito mio, domattina all'alba prendi i due bambini, dai a ciascuno un pezzetto di pane e conducili fuori in mezzo al bosco, nel punto dov'è più fitto; accendi loro un fuoco, poi vai via e li lasci soli laggiù. Non possiamo nutrirli più a lungo." - "No moglie mia" disse l'uomo "non ho cuore di abbandonare i miei cari bambini nel bosco, le bestie feroci li sbranerebbero subito." - "Se non lo fai," disse la donna, "moriremo tutti quanti di fame." E non lo lasciò in pace finché‚ egli non acconsentì.

Anche i due bambini non potevano dormire per la fame, e avevano sentito quello che la madre aveva detto al padre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere amaramente, ma Hänsel disse: "Stai zitta Gretel, non ti crucciare, ci penserò io." Si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. La luna splendeva chiara e i ciottoli bianchi rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò, ne ficcò nella taschina della giacca quanti pot‚ farne entrare e se ne tornò a casa. "Consolati Gretel e riposa tranquilla," disse; si rimise di nuovo a letto e si addormentò.

Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la madre venne e li svegliò entrambi: "Alzatevi bambini, vogliamo andare nel bosco; qui c'è un pezzetto di pane per ciascuno di voi, ma siate saggi e conservatelo per mezzogiorno." Gretel mise il pane sotto il grembiule perché‚ Hänsel aveva le pietre in tasca, poi si incamminarono verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada: Hänsel si fermò e si volse a guardare la casa; così fece per più volte. Il padre disse: "Hänsel, che cos'è che ti volti a guardare e perché‚ ti fermi? Su, muoviti!" - "Ah, babbo, guardo il mio gattino bianco che è sul tetto e vuole dirmi addio." Disse la madre: "Ehi, sciocco, non è il tuo gattino, è il primo sole che brilla sul comignolo." Hänsel però non aveva guardato il gattino, ma aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.

Quando giunsero in mezzo al bosco, il padre disse: "Ora raccogliete legna, bambini, voglio accendere un fuoco per non gelare." Hänsel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un mucchietto. Poi accesero il fuoco e quando la fiamma si levò alta, la madre disse: "Adesso stendetevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccare legna nel bosco; aspettate fino a quando non torniamo a prendervi."

Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ciascuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Credevano che il padre fosse ancora nel bosco perché‚ udivano i colpi d'accetta; invece era un ramo che egli aveva legato a un albero e che il vento sbattéva di qua e di là. Così attesero fino a sera, ma il padre e la madre non tornavano e nessuno veniva a prenderli. Quando fu notte fonda Gretel incominciò a piangere, ma Hänsel disse: "Aspetta soltanto un poco, finché‚ sorga la luna." E quando la luna sorse, prese Gretel per mano; i ciottoli brillavano come monete nuove di zecca e indicavano loro il cammino. Camminarono tutta la notte e quando fu mattina giunsero alla casa patema. Il padre si rallegrò di cuore quando vide i suoi bambini, poiché‚ gli era dispiaciuto doverli lasciare soli; la madre finse anch'essa di rallegrarsi, ma segretamente ne era furiosa.

Non passò molto tempo e il pane tornò a mancare in casa, e Hänsel e Gretel udirono una sera la madre che diceva al padre: "Una volta i bambini hanno ritrovato il cammino e io ho lasciato correre: ma adesso non c'è di nuovo più niente, rimane solo una mezza pagnotta in casa; devi condurli domani più addentro nel bosco, perché‚ non ritrovino la strada: per noi non c'è altro rimedio." L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò: "Sarebbe meglio se dividessi l'ultimo boccone con i tuoi bambini." Ma siccome aveva già ceduto una volta, non pot‚ dire di no.

Quando i bambini ebbero udito quel discorso, Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i ciottoli, ma quando giunse alla porta, la madre l'aveva chiusa. Tuttavia consolò Gretel e disse: "Dormi, cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà."

Allo spuntar del giorno ebbero il loro pezzetto di pane, ancora più piccolo della volta precedente. Per strada Hänsel lo sbriciolò in tasca; si fermava sovente e gettava una briciola per terra. "Perché‚ ti fermi sempre, Hänsel, e ti guardi intorno?" disse il padre. "Cammina!" - "Ah! Guardo il mio piccioncino che è sul tetto e vuole dirmi addio." - "Sciocco," disse la madre, "non è il tuo piccione, è il primo sole che brilla sul comignolo." Ma Hänsel sbriciolò tutto il suo pane e gettò le briciole per via.

La madre li condusse ancora più addentro nel bosco, dove non erano mai stati in vita loro. Là dovevano di nuovo sedere accanto al fuoco e dormire e alla sera i genitori sarebbero venuti a prenderli. A mezzogiorno Gretel divise il proprio pane con Hänsel, che aveva sparso tutto il suo per via. Ma passò mezzogiorno e passò anche la sera senza che nessuno venisse dai poveri bambini. Hänsel consolò Gretel e disse: "Aspetta che sorga la luna: allora vedrò le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa." La luna sorse, ma quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: i mille e mille uccellini del bosco le avevano viste e le avevano beccate. Hänsel pensava di trovare ugualmente la via di casa e si portava dietro Gretel, ma ben presto si persero nel grande bosco; camminarono tutta la notte e tutto il giorno, poi si addormentarono per la gran stanchezza. Poi camminarono ancora tutta una giornata, ma non riuscirono a uscire dal bosco, e avevano tanta fame, perché‚ non avevano nient'altro da mangiare che un po' di bacche trovate per terra.

Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce." Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce sottile gridò dall'interno:

"Chi mi mangia la casina
zuccherosa e sopraffina?"

I bambini risposero:

"E' il vento che piega ogni stelo,
il bel bambino venuto dal cielo."

E continuarono a mangiare. Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d'un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: "Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti." Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.

Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l'arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sì: "Saranno un buon bocconcino per me!" Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: "Alzati, poltrona, prendi dell'acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare." Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.

Ora ad Hänsel venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché‚ doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: "Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso." Ma Hänsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, una sera disse a Gretel: "Vai a prendere dell'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò; nel frattempo mi metterò a impastare il pane da cuocere nel forno." Con il cuore grosso, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Dovette poi alzarsi di buon mattino, accendere il fuoco e appendere il paiolo pieno d'acqua. "Ora fa' attenzione," disse la strega. "Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane." Gretel era in cucina e piangeva a calde lacrime mentre pensava: "Ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme senza dover sopportare questa pena, e io non dovrei far bollire l'acqua che deve servire per la morte di mio fratello. Buon Dio, aiuta noi, miseri bambini!"

La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui al forno!" e quando Gretel arrivò, disse: "Dai un'occhiata dentro se il pane è ben cotto e dorato; i miei occhi sono deboli e io non arrivo a vedere fin là. E se anche tu non ci riesci, siediti sull'asse: ti spingerò dentro, così potrai controllare meglio." Ma la perfida strega aveva chiamato Gretel perché‚ pensava, una volta spintala dentro al forno, di chiuderlo e di farla arrostire per mangiarsi pure lei. Ma Dio ispirò alla fanciulla un'idea, ed ella disse: "Non so proprio come fare, fammi vedere tu per prima: siediti sull'asse e io ti spingerò dentro." La vecchia si sedette e, siccome era leggera, Gretel pot‚ spingerla dentro, il più in fondo possibile; poi chiuse in fretta la porta e mise il paletto di ferro. Allora la vecchia incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno bollente, ma Gretel scappò via, ed ella dovette bruciare miseramente.

Gretel corse da Hänsel, gli aprì la porticina e gridò: "Salta fuori, Hänsel, siamo liberi!" Allora Hänsel saltò fuori, come un uccello quando gli aprono la gabbia. Ed essi piansero di gioia e si baciarono. Tutta la casetta era piena di perle e di pietre preziose: essi se ne riempirono le tasche e se ne andarono in cerca della via che li riconducesse a casa. Ma giunsero a un gran fiume che non erano in grado di attraversare. Allora la sorellina vide un'anatrina bianca nuotare di qua e di là.

E le gridò:

"Ah,
cara anatrina,
prendici
sul tuo dorso."

Udite queste parole, l'anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall'altra parte del fiume. Dopo breve tempo ritrovarono la loro casa: il padre si rallegrò di cuore quando li rivide, poiché‚ non aveva più avuto un giorno di felicità da quando i suoi bambini non c'erano più. La madre invece era morta. Ora i bambini portarono ricchezze a sufficienza perché‚ non avessero più bisogno di procurarsi il necessario per vivere.

FINE